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Ho lasciato il cervello in macchina e me l’hanno rubata. Vuoi lavorare per me? Ti pago.

Lunedì 1 ottobre, ore 13.30 circa, ferma alla stazione dell’autobus dopo mezza giornata di lavoro davvero impegnativa. Tempo mite, abbastanza freddo da farmi fermare a riflettere sul perché l’estate sia così breve, intensa eppure è l’unico momento che abbiamo per rilassarci.

Arrivano altre persone, mi siedo, ascolto una telefonata “si dai, ho solo bisogno di una studentessa per poter completare un inventario. 200€ ogni volta che viene così siamo tutti felici”.

Ci penso, rifletto. Inizio a parlare con questo signore ben vestito, due telefoni, 24 ore in pelle, un Cartier al polso. Gli chiedo maggiori informazioni su questo lavoro dato che c’è una mia amica potenzialmente interessata.

Dialogo iniziato con “eh sai, ho questi appartamenti, difficili da gestire. Ne ho 10 e c’è bisogno di qualcuno che si occupi di un inventario. Ma una cosetta facile e veloce”. Dopodiché inizia a parlare di se, della macchina che gli avevano rubato.

Prendiamo il pullman. Inizio con le domande relative al lavoro. Mi lascia il suo numero perché scende prima di me. Gli chiedo il nome: stefano. Niente cognome, niente informazioni relative al lavoro, un numero di telefono e un “dai parliamone davanti a del cibo perché con il cibo è più facile dialogare”.

Provate ad immaginare una di quelle giornate dove tutto va male (o almeno nella propria testa). Provate ad immaginare quei periodi “oscuri” che non vogliono passare. Poi all’ improvviso questo qui si siede a parlare al telefono e senti 200€ a settimana senza fare niente. Poi inizi a pensare. Cosa faccio?

Ho il suo numero, una persona di quasi 60 anni che offre un lavoro. Un imprenditore. Ma la sensazione è di paura. Quando il sesto senso avverte un senso di schifo (e non c’è termine più adatto).

Decido di fissare un pranzo con Stefano il Venerdì, alle 13.30.

Arrivo a Porta Susa dove mi aspetta. Elegante, abito a righe, Cartier al polso. I due telefoni ma niente 24 ore. Macchina sempre rubata.

Sono state le due ore più brutte della mia vita. Ma solo perché mi sono sentita impotente.

La prima cosa che mi ha detto: “Sei bellissima”

Ok lo so, grazie. Continua con il sei bellissima per altre non so quante volte. Dopo aver ringraziato la genetica, i miei genitori, madre natura, tutti gli dei possibili e immaginabili, all’ennesima sei bella ho continuato a dire “si lo so”. Senza timore. La sua reazione “quanto sei simpatica. Sei bella e simpatica”.

Arriviamo al ristorante. Il piatto già pronto. Gli faccio la lecita domanda “ah ma quindi ti conoscono già in questo ristorante?” la sua risposta è stata un “no, ci vengo ogni tanto e ho prenotato chiedendo questa pasta. “

(Pranzo completo con vino ecc a 36€ – in pieno centro. Ma ok ci va solo ogni tanto, cortesia con occhi bassi e richieste soddisfatte senza nemmeno chiedere).

Persona logorroica, che ha parlato di se per tutto il tempo, raccontandomi della sua vita da musicista e cantante in Svizzera dove guadagnava tantissimi soldi. Divorziato, figlia maggiore che sta cercando di fare il dottorato in filosofia a milano, dove ha già condotto gli studi magistrali. Depressione, farmaci, necessità della madre e soldi del padre. Figlia minore che studia arte. Lui, senza nessuna istruzione ma laurea alla facoltà della vita o come si dice.

60 anni e da NON ipocrita ha ammesso che gli piacciono le ragazze giovani.

“Sarei un ipocrita a dirti che non mi piaci e che non ci proverei. Qualsiasi uomo della mia età è interessato a ragazze giovani. E tutti quelli che dicono che non è così mentono o sono ipocriti.”

Ho provato a dire la mia (su diversi argomenti) ma ovviamente non avevo libertà di parola. 2 ore di pranzo a sentire le sue parole, nessun confronto. Ogni volta che dicevo la mia era un “ma quanto sei bella? Quanto sei simpatica? Devo davvero dire che sei una ragazza a modo, gentile educata e bella”

Mi ha raccontato che ogni ragazza che assume ha tra i 18 e i 27 anni massimo. Sono maggiormente ragazze che hanno bisogno di lavoro, che stanno studiando o comunque sono in difficoltà. Perché lui sta bene economicamente e sa quanto si stia male senza soldi.

Vive con la madre, compra appartamenti all’asta e li affitta a studenti del politecnico. Per la maggior parte stranieri, perché gli italiani hanno troppe pretese. Esce con i ragazzi pakistani a far festa e si “diverte” con chi trova alle feste erasmus.

Gli chiedo del lavoro. Almeno di dirmi cosa stesse cercando, mi chiede cosa mi avesse detto sul pullman. Mi dice “guarda, si tratta di andare negli appartamenti vuoti e fare un inventario. Andiamo insieme, magari ci vediamo prima… sai..per stare un po’ insieme. Poi se le cose vanno bene tra di noi possiamo anche andare a cena fuori insieme. Possiamo fare qualche viaggio insieme. Ma tu tranquilla, non devi preoccuparti di niente. Ti faccio guadagnare anche 35k all’anno. Bastano due volte a settimana.”

Devo dire che ho un senso del controllo elevato. Soprattutto se si è in pubblico. Odio le scenate.

Finito il pranzo. Mi sono sentita violentata mentalmente. Mi sono sentita violentata come donna, i racconti sulle donne (ragazzine in particolare) con le quali ci aveva provato mi hanno bloccata. Quanto è facile trovarsi in situazioni del genere con persone del genere?

La cosa peggiore è che persone come lui sono molto pericolose. Immaginate per una ragazza, appena apparsa sulla scena lavorativa con aspettative, sogni ma anche con un “basta che lavoro”. Con una persona del genere rimarrebbe incastrata. Per i modi, per le parole che usa. Ti ritrovi incastrata. Non sai come dire di no. Non sai cosa aspettarti. Il lavoro c’è, le sue parole fanno paura ma sono anche confuse. Ma quindi questo cosa vuole? Ma poi… si è seduto per caso accanto a me alla fermata, sarei ipocrita a rinunciare ad un lavoro capitato così per caso.

Tattica:

–       Vedo una bella ragazza, giovane, suppongo sia una studentessa, parlo di un lavoro part time ben retribuito

–       Opzione 1: fa finta di niente. Pace ci ho provato.

–       Opzione 2: mi chiede del lavoro

–       Se ok con opzione 2 allora inizio a parlare velocemente del lavoro ma lascio tutto molto vago per far si che si presenti l’occasione per un secondo round. Le lascio il mio numero e aspetto.

–       Non mi scrive: ok ci ho provato

–       Mi scrive: fisso un appuntamento davanti a del cibo, possibilmente nel weekend così c’è maggiore possibilità che accetti.

–       Ci vediamo: mi denudo, ma uso parole accurate ma facendo notare il mio interesse. Ma senza avvicinarmi troppo. Parlo della mia vita, della mia bellissima vita da artista che affascina sempre. Parlo dei soldi, tantissimi soldi che guadagno. Parlo in modo sincero, in questo modo si fida di me.

–       Non voglio informazioni su di lei, non gliene do molte su di me.

–       Pago in contanti, non lascio tracce.

–       Osservo se ci sta. Ok ci sta, sono fiero di me. Presa!

Perché ci sono andata? Perché lo scrivo? Perché rischiare così tanto?

Sarà la curiosità. Ma quando ho capito che aveva interessi diversi da quelli “buoni” di un lavoro part time per studentesse ho pensato di voler capire ancora meglio in che modo pensano queste persone. Lo faccio per quando le mie amiche mi chiedono consigli o pareri su lavori, datori di lavoro ecc.

Lo scrivo pubblicamente così almeno se capitano persone simili e si è letto qualcosa che possa far suonare un campanello di allarme almeno ci si ferma un attimo a pensare e chiedersi se si sta facendo la scelta giusta.

Non è la prima volta che mi trovo in situazioni del genere. Ora ho capito in che modo gestirle. Più o meno. Ma quando ero più giovane (e ho 25 anni quindi vi lascio immaginare), quando a 19 anni sono arrivata in una città, senza soldi, in cerca di un lavoro per mantenermi gli studi, senza nessuna conoscenza, senza la mia famiglia vicina, senza nessun amico ho capito che ci sono molti modi di comunicare. Che ogni dettaglio fa la differenza. Ho capito che non bisogna dare niente per scontato e che trovarsi incastrati, senza vedere nessuna via d’uscita potrebbe farti perdere la testa, potrebbe portarti a fare scelte sbagliate. Ci sono tantissime ragazze forti, sicure ecc..ma ce ne sono altrettante insicure, intelligenti e che potrebbero fare scelte sbagliate e portarle a vivere un inferno.

È un modo per raccontare e raccontarsi. Un modo per dire che non bisogna avere paura di dire le cose. Di non avere paura di denunciare fatti e persone, di non sentirsi impotenti, di non pensare che “ma poi chissà che può farmi se dico qualcosa”. Se non parliamo, se rimaniamo bloccati nella nostra testa ad avere paura, se non ci aiutiamo a vicenda allora sarà sempre un problema quando si andrà incontro a queste persone. E poi, sono persone.. esseri umani (se così possono essere definiti) che non sono migliori di nessuno. Chiedere aiuto, parlare con le persone di cui ci si fida. Denunciare, non avere paura di raccontarsi.

Sperando che possa essere d’aiuto. Non solo per le donne, ma chiunque si trovi in situazioni del genere. Chiunque si trovi in situazioni di paura, chiusura, minaccia, deve trovare il coraggio di raccontare e denunciare. Rimanere bloccati nella propria testa può portare anche all’autodistruzione.

Francesca

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